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AUTOCRINIA E ALTRI MISTERI DI PALAZZO

AUTOCRINIA E ALTRI MISTERI DI PALAZZO L’autrice torna a indagare sul modo in cui si applica la legge nei palazzi della politica. Abbandonata ormai in ogni parte del mondo, l’autodichìa delle camere parlamentari è ora oggetto di un contenzioso su cui si attende il vaglio della Corte Costituzionale. La politica difende il suo privilegio di continuare in futuro a gestire risorse senza la responsabilità che vincola una qualsiasi pubblica amministrazione. Dall’immunità di sede e dall’assenza del giudice esterno si è ricavata un’esenzione dallo Stato di diritto: solo spazzando sotto il tappeto avrà finalmente termine una storia che delegittima silenziosamente il Parlamento, esponendolo al risentimento popolare che alimenta la sempre più nutrita schiera dell’antipolitica.

Le Camere e lo scudo dell’autodichia

In ogni ambito - dal bilancio dei gruppi parlamentari alla sicurezza del lavoro, dalla gestione del patrimonio immobiliare, alla materia appaltistica - il Parlamento ricorre all'alibi dell'autodichia per sottrarsi ai rigori della legge esterna; quella stessa legge che invece vale per ogni altra pubblica amministrazione e, soprattutto, per ogni cittadino. Siamo dunque al paradosso: nel luogo dove avviene il processo di formazione delle leggi, occorre ottenere il "permesso" di venti persone (i componenti degli Uffici di Presidenza) per dare accesso alla legge nell'ambito della presunta "autonomia costituzionale" della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Finché le immunità parlamentari verranno impropriamente invocate a tutela di quegli ambiti che esulano dalla funzione tipica delle Camere e che sono invece propri di qualsiasi altro organo o pubblica amministrazione, il Parlamento continuerà ad essere una zona franca sottratta alla grande regola dello Stato di Diritto.