Ora serve una legge per proteggere i “whistleblower”
di Irene Testa · Pubblicato · Aggiornato
In Italia le gole profonde della pubblica amministrazione non sono ancora molte, nonostante gli sforzi dell’Anac di Cantone. Ora da diverse parti arriva la richiesta di dedicare una legge alla tutela di chi denuncia la corruzione, anche alla Camera, Senato, Csm, Corte Costituzionale e Quirinale
Valentina Stella su linkiesta.it
Il termine può apparire un po’ complesso – whistleblower, letteralmente soffiatore nel fischietto – ma il significato lascia poche interpretazioni: dipendente che, dall’interno del proprio ente di appartenenza (pubblico o privato), segnala condotte illecite non nel proprio interesse individuale, ma nell’interesse pubblico. Su questo strumento di prevenzione della corruzione punta molto Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione: “un nuovo modo di essere dipendente pubblico” scrive il magistrato, richiamando l’obiettivo che si è prefissato il legislatore nella legge anticorruzione del 2012. Da non confondere con il delatore, colui cioè che denuncia per lucro, vendetta personale o servilismo. Bisogna invece esaltare l’‘importanza etica” – sostiene Cantone – “del contributo collaborativo dei dipendenti pubblici”.
In Italia, in realtà, esiste un articolo del codice penale (art. 361) che impone sanzioni per il pubblico ufficiale che non denuncia reati di cui sia venuto a conoscenza durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma tale norma è scarsamente rispettata. Ed è per questo che occorre una via alternativa. Praticamente, dunque, di cosa stiamo parlando in riferimento al whistleblowing? Ci viene in aiuto proprio un monitoraggio realizzato dall’Anac dal 2014 ai primi mesi del 2016: sono state analizzate le segnalazioni che oltre duecento lavoratori hanno fatto pervenire direttamente all’Autorità e ad un campione di 34 amministrazioni e sei società pubbliche. Gli abusi che vengono maggiormente denunciati riguardano la corruzione e la cattiva amministrazione da parte dei proprio colleghi o superiori; a seguire demansionamenti e trasferimenti illegittimi proprio a seguito di un avviso di un presunto illecito, incarichi e nomine illegittime, appropriazione indebita, appalti irregolari, abusi di potere. Ancora di più nel dettaglio: falsa timbratura di cartellini, truffa nelle richieste di buoni pasto, utilizzo della macchina di servizio della polizia municipale per andare al funerale di un collega, procedure illegittime di rilascio di carte di identità, affidamento di appalti senza gara, aggiudicazione di un appalto di tumulazione ad un unico partecipante risultato parente di un componente della giunta. La percentuale di segnalanti maggiore la si rileva nei dipendenti pubblici, ultimi classificati invece militari e poliziotti municipali. Dal Sud Italia arrivano il 50% delle comunicazioni, centro e nord si spartiscono la restante metà.
Questi numeri ci dicono che lo strumento sta funzionando? A leggere la Relazione annuale al Parlamento dell’Anac dello scorso 14 luglio sembrerebbe proprio che le potenziali gole profonde italiane non abbiano ancora instaurato un buon feeling con questa modalità di denuncia. Tuttavia questo non arresta Cantone e il suo gruppo di lavoro dell’Anac che il 7 luglio ha pubblicato il bando per l’affidamento dei servizi di manutenzione della piattaforma informatica di ricezione delle segnalazioni di whistleblowing che, una volta terminata, sarà messa in open source, a disposizione di ogni pubblica amministrazione. I dipendenti quindi non avranno più scuse: se adesso non si fidano a presentare una segnalazione a voce o cartacea al loro superiore gerarchico o al responsabile della prevenzione della corruzione del loro ufficio – ad esempio perché proprio loro sono i presunti colpevoli di una malefatta – in un futuro non troppo lontano potranno riversare tutto in un contenitore virtuale. Nell’attesa non demordano, perché l’Anac mette loro a disposizione un modulo semplice da compilare e da inviare via email con i dettagli e documenti allegati a supporto della denuncia.
In Italia, in realtà, esiste un articolo del codice penale (art. 361) che impone sanzioni per il pubblico ufficiale che non denuncia reati di cui sia venuto a conoscenza durante lo svolgimento dell’attività lavorativa, ma tale norma è scarsamente rispettata. Ed è per questo che occorre una via alternativa. Praticamente, dunque, di cosa stiamo parlando in riferimento al whistleblowing? Ci viene in aiuto proprio un monitoraggio realizzato dall’Anac dal 2014 ai primi mesi del 2016: sono state analizzate le segnalazioni che oltre duecento lavoratori hanno fatto pervenire direttamente all’Autorità e ad un campione di 34 amministrazioni e sei società pubbliche. Gli abusi che vengono maggiormente denunciati riguardano la corruzione e la cattiva amministrazione da parte dei proprio colleghi o superiori; a seguire demansionamenti e trasferimenti illegittimi proprio a seguito di un avviso di un presunto illecito, incarichi e nomine illegittime, appropriazione indebita, appalti irregolari, abusi di potere. Ancora di più nel dettaglio: falsa timbratura di cartellini, truffa nelle richieste di buoni pasto, utilizzo della macchina di servizio della polizia municipale per andare al funerale di un collega, procedure illegittime di rilascio di carte di identità, affidamento di appalti senza gara, aggiudicazione di un appalto di tumulazione ad un unico partecipante risultato parente di un componente della giunta. La percentuale di segnalanti maggiore la si rileva nei dipendenti pubblici, ultimi classificati invece militari e poliziotti municipali. Dal Sud Italia arrivano il 50% delle comunicazioni, centro e nord si spartiscono la restante metà.
Questi numeri ci dicono che lo strumento sta funzionando? A leggere la Relazione annuale al Parlamento dell’Anac dello scorso 14 luglio sembrerebbe proprio che le potenziali gole profonde italiane non abbiano ancora instaurato un buon feeling con questa modalità di denuncia. Tuttavia questo non arresta Cantone e il suo gruppo di lavoro dell’Anac che il 7 luglio ha pubblicato il bando per l’affidamento dei servizi di manutenzione della piattaforma informatica di ricezione delle segnalazioni di whistleblowing che, una volta terminata, sarà messa in open source, a disposizione di ogni pubblica amministrazione. I dipendenti quindi non avranno più scuse: se adesso non si fidano a presentare una segnalazione a voce o cartacea al loro superiore gerarchico o al responsabile della prevenzione della corruzione del loro ufficio – ad esempio perché proprio loro sono i presunti colpevoli di una malefatta – in un futuro non troppo lontano potranno riversare tutto in un contenitore virtuale. Nell’attesa non demordano, perché l’Anac mette loro a disposizione un modulo semplice da compilare e da inviare via email con i dettagli e documenti allegati a supporto della denuncia.
Si rende più che mai necessaria una legge di protezione dei whistleblower, sia in ambito pubblico che privato, che fornisca garanzie di riservatezza più robuste ai soggetti che rischiano esponendosi in prima persona e che consenta di accettare anche segnalazioni anonime
Ma questo investimento di energie, risorse e denaro sarà ben ripagato in futuro? Potremmo avere anche noi i nostri Snowden e Assange? La risposta sarà affermativa solo se nel frattempo si riusciranno a rimuovere gli ostacoli che fino a oggi non sono riusciti a far decollare il sistema del whistleblowing: il dipendente pubblico italiano non vuole creare problemi a colleghi coinvolti in atti illeciti, ha una pregiudiziale sfiducia nel sistema come azione di prevenzione, e teme di non essere tutelato abbastanza a seguito della segnalazione e quindi di subire qualsiasi tipo di ritorsione da parte del datore di lavoro o di colui che si è segnalato. Pertanto, come sottolinea Laura Valli, funzionaria della Banca Mondiale, distaccata presso l’Anac, «due sono, di conseguenza, anche le condizioni che ogni ordinamento che voglia promuovere con serietà questo istituto dovrebbe garantire: la chiarezza del processo e la certezza della protezione».
Quest’ultimo punto è molto delicato e discusso nell’ambito degli esperti di whistleblowing: va garantito completamente l’anonimato del segnalante? «Le best practices internazionali in materia prevedono anche la possibilità di usufruire di canali anonimi di segnalazione», sottolinea il giurista Alessandro Rodolfi, membro del Centro Studi Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali, «in merito occorre precisare che l’ambito di applicazione della normativa italiana attuale, purtroppo, concerne esclusivamente i dipendenti pubblici ed esclude le segnalazioni pervenute in modalità anonima; da ciò deriva la necessità di identificare il segnalante (allo scopo di verificare che sia effettivamente un dipendente pubblico) anche se il suo nominativo deve essere mantenuto confidenziale durante tutto l’iter che va dalla ricezione della segnalazione a ogni ulteriore fase successiva». Ciò non significa che le segnalazioni anonime vengono cestinate, ma per essere prese in considerazione, precisa l’Anac nelle sue Linee guida, devono essere circostanziate e rese con dovizia di particolari. «Per questi motivi – conclude Rodolfi – si rende più che mai necessaria una legge di protezione dei whistleblower, sia in ambito pubblico che privato, che fornisca garanzie di riservatezza più robuste ai soggetti che rischiano esponendosi in prima persona e che consenta di accettare anche segnalazioni anonime».
A supporto di questo appello arrivano Riparte il futuro e Transparency International Italia che lanciano la campagna #vocidigiustizia: «Chi denuncia corruzione e illegalità sul posto di lavoro deve essere tutelato. Chiediamo che la Commissione Affari Costituzionali del Senato calendarizzi e discuta al più presto il disegno di legge sulla protezione dei whistleblower approvato dalla Camera lo scorso gennaio», dichiara Priscilla Robledo. Ma c’è chi si spinge oltre: la radicale Irene Testa, insieme all’avvocato Alessandro Gerardi e agli ex parlamentari pannelliani Turco, Farina Coscioni, Zamparutti, Beltrandi e Bernardini, ha presentato al Senato una petizione per estendere l’istituto del whistleblowing non solo a tutte le pubbliche amministrazioni, ma anche agli organi costituzionali, ossia Camera, Senato, Csm, Corte Costituzionale e Quirinale, luoghi dove attualmente, come dichiara Testa, «ci si scontra con il regime dell’autodichia, ovvero con lo strumento di privilegio con cui queste istituzioni si sottraggono alle leggi ordinarie per le questioni amministrative, il che finisce con il creare una vera e propria zona franca dove guardia di finanza e magistratura ordinaria non possono entrare. Noi radicali chiediamo in primis che qualsiasi dipendente di questi organi possa avere il diritto di denunciare ogni tipo di illecito e che, conseguentemente, le autorità competenti possano svolgere le dovute indagini senza dover essere autorizzate dagli organi stessi». Intanto il Senato americano ha proclamato il 30 luglio la “Giornata nazionale del Whistleblower“. E in Italia che aspettiamo? Di cosa abbiamo paura?
Quest’ultimo punto è molto delicato e discusso nell’ambito degli esperti di whistleblowing: va garantito completamente l’anonimato del segnalante? «Le best practices internazionali in materia prevedono anche la possibilità di usufruire di canali anonimi di segnalazione», sottolinea il giurista Alessandro Rodolfi, membro del Centro Studi Hermes per la Trasparenza e i Diritti Umani Digitali, «in merito occorre precisare che l’ambito di applicazione della normativa italiana attuale, purtroppo, concerne esclusivamente i dipendenti pubblici ed esclude le segnalazioni pervenute in modalità anonima; da ciò deriva la necessità di identificare il segnalante (allo scopo di verificare che sia effettivamente un dipendente pubblico) anche se il suo nominativo deve essere mantenuto confidenziale durante tutto l’iter che va dalla ricezione della segnalazione a ogni ulteriore fase successiva». Ciò non significa che le segnalazioni anonime vengono cestinate, ma per essere prese in considerazione, precisa l’Anac nelle sue Linee guida, devono essere circostanziate e rese con dovizia di particolari. «Per questi motivi – conclude Rodolfi – si rende più che mai necessaria una legge di protezione dei whistleblower, sia in ambito pubblico che privato, che fornisca garanzie di riservatezza più robuste ai soggetti che rischiano esponendosi in prima persona e che consenta di accettare anche segnalazioni anonime».
A supporto di questo appello arrivano Riparte il futuro e Transparency International Italia che lanciano la campagna #vocidigiustizia: «Chi denuncia corruzione e illegalità sul posto di lavoro deve essere tutelato. Chiediamo che la Commissione Affari Costituzionali del Senato calendarizzi e discuta al più presto il disegno di legge sulla protezione dei whistleblower approvato dalla Camera lo scorso gennaio», dichiara Priscilla Robledo. Ma c’è chi si spinge oltre: la radicale Irene Testa, insieme all’avvocato Alessandro Gerardi e agli ex parlamentari pannelliani Turco, Farina Coscioni, Zamparutti, Beltrandi e Bernardini, ha presentato al Senato una petizione per estendere l’istituto del whistleblowing non solo a tutte le pubbliche amministrazioni, ma anche agli organi costituzionali, ossia Camera, Senato, Csm, Corte Costituzionale e Quirinale, luoghi dove attualmente, come dichiara Testa, «ci si scontra con il regime dell’autodichia, ovvero con lo strumento di privilegio con cui queste istituzioni si sottraggono alle leggi ordinarie per le questioni amministrative, il che finisce con il creare una vera e propria zona franca dove guardia di finanza e magistratura ordinaria non possono entrare. Noi radicali chiediamo in primis che qualsiasi dipendente di questi organi possa avere il diritto di denunciare ogni tipo di illecito e che, conseguentemente, le autorità competenti possano svolgere le dovute indagini senza dover essere autorizzate dagli organi stessi». Intanto il Senato americano ha proclamato il 30 luglio la “Giornata nazionale del Whistleblower“. E in Italia che aspettiamo? Di cosa abbiamo paura?